Buona da raccontare. Considerazioni su antropologia e giornalismo
Abstract
RiassuntoGli antropologi, non solo in Italia, sono oggi poco presenti sui media nazionali e il sapere antropologico fatica a farsi strada al di fuori dell’ambito accademico. Gli accademici sono spesso vittime di uno sfasamento temporale: i tempi necessari per la ricerca e la pubblicazione di un libro o di un articolo scientifico non consentono di essere al passo con una tematica di attualità. Pur non rinunciando a questa lentezza, che consente quell’approfondimento che è la linfa vitale della disciplina, sarebbe utile servirsi anche dei mezzi d’informazione per diffondere il sapere antropologico in modo puntuale. Gli antropologi hanno due modi per essere presenti sui quotidiani: collaborare con i giornalisti come fonti di notizie o scrivere di proprio pugno degli articoli e delle lettere. Come avviene in Norvegia dove gli antropologi accademici scrivono regolarmente per riviste non scientifiche e per i giornali quotidiani. Il lavoro del giornalista e quello dell’etnografo hanno certamente dei punti di contatto, tanto da far intravedere una parentela tra le due professioni. Una delle cose che li accomuna è, ad esempio, l’ampio uso di interviste qualitative. Tuttavia, nonostante alcune analogie nella tecnica di raccolta dei dati e nel racconto etnografico, è altrettanto importante prestare attenzione alle differenze. L’etica, gli obbiettivi professionali e i vincoli istituzionali rendono le due professioni alquanto diverse. Ed è proprio dalle differenze che bisognerebbe partire per individuare le potenzialità di una collaborazione. Esiste, infatti, uno spazio generativo situato al confine tra antropologia e giornalismo, nel quale si può istaurare un dialogo fruttuoso e scambiare strumenti di conoscenza.
Good to Tell. A Reflection on Anthropology and Journalism
Anthropologists (not only in Italy) are rarely present in the national media and anthropological knowledge struggles to be heard. Academics are often victims of a time lag: the time needed to research and publish a book or a scientific article does not allow them to keep up with a topical issue. While not giving up this slowness, which is the lifeblood of the discipline as it allows researchers to gain in-depth insights, it would nevertheless be beneficial to use mainstream media to disseminate anthropological knowledge in a timely manner. Anthropologists have two ways of being present in newspapers: by collaborating with journalists as a “source” or by writing articles and letters in their own hands, as happens in Norway where academic anthropologists regularly write for non-scientific magazines and daily newspapers. The work of the journalist and that of the ethnographer certainly have some points of contact that reveal a kinship between the two professions. One of the things that unites them is the extensive use of qualitative interviews. However, despite some similarities in data collection techniques and ethnographic narrative, it is equally important to pay attention to the differences. Ethics, professional goals, and institutional constraints make the two professions quite different. Indeed, it is precisely from the differences that we should start to identify the potential of a collaboration. There is a generative space located on the border between anthropology and journalism, where a fruitful dialogue and an exchange of knowledge tools can be established.