Una capitale per l’Italia. Per un racconto dell’Italia fascista di Ernesto Galli della Loggia
DOI:
https://doi.org/10.13133/2784-9643/19150Abstract
In cosa consiste, si chiede Ernesto Galli della Loggia (p. 26), il «perdurante fascino della Roma fascista?» La sua modernità, e la rassicurazione che «emana», risiede nel fatto che essa ci appare «sempre come desiderosa di stipulare un compromesso con il passato anziché rompere brutalmente con esso […] spira da essa una modernità che in un certo senso appare sempre immunizzata dal suo contrario». Questa continuità storica la si può rintracciare, insiste l’autore in più momenti del volume, negli sventramenti precedenti al fascismo, nel corso cioè del periodo umbertino e liberale in particolare (pp. 30-35) che dal punto di vista urbanistico, anticipò e agì analogamente agli sventramenti del regime fascista che in questo senso dunque si pose in continuità con una prassi di ridefinizione dei rapporti tra spazio urbano e potere nelle città capitali non solo in Italia: «La generazione a cui appartengo (ma credo anche qualcuna venuta prima e dopo la mia) è cresciuta sentendo addebitare a irrimediabile colpa del fascismo la politica degli sventramenti, e accreditare implicitamente l’idea che gli sventramenti avessero costituito in sostanza l’unica cifra o quasi, voluta dalla mente maniacale del duce, degli interventi del regime a Roma come altrove. Non è così. In realtà […] buttar giù pezzi di città per rifarli con nuovi criteri, inserendo nuove tipologie viarie ed edilizie, è stata una prassi non solo ampiamente praticata dalla precedente cultura liberale ma ancor prima sotto quasi tutti i regimi politici» (p. 143).
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