Né l’uno né l’altro. Una lettura di Shalimar the Clown

Autori

  • Francesco Muzzioli Sapienza Università di Roma

DOI:

https://doi.org/10.13133/2532-1994.13814

Abstract

Un narratore come Salman Rushdie, da sempre votato a uno scenario intercontinentale e alla interrelazione tra Oriente e Occidente, nel suo recente romanzo Shalimar il clown (2005) affronta le fratture irrisolte che solcano il mondo producendo reazioni a catena, e mostra come la globalizzazione, che pure avvicina e mescola le culture, nello stesso tempo compie disastri che le si ritorcono contro. La vicenda è una storia di tradimento e di vendetta: il desiderio accosta soggetti culturalmente distanti, ma costituisce uno strappo prodotto che non potrà più essere pacificato, la via del ritorno sarà preclusa e i personaggi finiranno sradicati, anche a causa delle chiusure e delle incomprensioni che affliggono i loro comportamenti, tradizionali o moderni che siano, così come le rispettive comunità. Ognuno dei personaggi, sia gli europei che gli asiatici, compie azioni di cui non calcola le conseguenze e che si ripercuotono in effetti a catena con esiti mortali, fino all’ultimo scontro, lasciato in sospeso nella pagina conclusiva. In questo romanzo meno rilevante, anche se non del tutto assente, è il ricorso alla magia cui Rushdie ci ha spesso abituati: c’è piuttosto la presenza della storia, dalla resistenza contro il nazismo agli scoppi del terrorismo. Una storia, quest’ultima, che l’autore ha vissuto sulla propria pelle, costretto all’esilio dalla condanna a morte. Il romanzo si apre e si chiude a Los Angeles, quindi con una apertura geografica planetaria; ma sullo sfondo c’è il luogo originario dell’autore, il Kashmir, un piccolo lembo di terra che ben rappresenta la contraddizione del mondo globale, un paese conteso e straziato dalla guerra, sicché le “scissioni” dei personaggi si intrecciano con la divisione dei popoli, ne sono in certo senso l’allegoria. Nel Kashmir esisteva una radicata coesistenza pacifica tra gli Indù e i Musulmani, che è stata rovinata dalle mire degli stati confinanti, il Pakistan e l’India, frutto di un’infausta spaccatura religiosa. Il testo rushdiano mostra efficacemente l’infiltrarsi del baco dei fondamentalismi contrapposti e la sciagura della repressione militare che fa orrori da entrambe le parti, finché le pratiche locali, le abilità artistiche come i piaceri della cucina, non saranno più in grado di costituire un collante sufficiente. Questo saggio vuole mettere in evidenza tutte le sfaccettature di questa “contraddittorietà globale” che si ripercuote anche sui toni e sui caratteri stilistici del romanzo. Più che in altre occasioni, in Shalimar il clown, Rushdie ha avvolto il suo romanzo in clima cupo e senza speranza; e ciò, tuttavia, con l’intento di colpire il lettore proprio con l’assenza di facili soluzioni e di risvegliarlo alla presa di coscienza. Perché malgrado tutte le difficoltà della mediazione e le fratture irrisolte che vi si riscontrano, il senso del libro è una esortazione alla libertà e una condanna della cecità del potere, di qualsiasi divisa si rivesta.

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Come citare

Muzzioli, F. (2017). Né l’uno né l’altro. Una lettura di Shalimar the Clown. Novecento Transnazionale. Letterature, Arti E Culture, 1, 86–93. https://doi.org/10.13133/2532-1994.13814

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Articoli