Un lenzuolo bucato e una sputacchiera d'argento

Eredità privata e memoria storica in Midnight’s Children

Autori

  • Aldo Baratta Università di Roma La Sapienza

DOI:

https://doi.org/10.13133/2532-1994/17624

Parole chiave:

Salman Rushdie, India, Thing Theory, narrativa postcoloniale, I figli della mezzanotte

Abstract

L’oggetto interpreta un ruolo importante all’interno delle logiche figurali della letteratura postcoloniale. In qualità di tracce della propria cultura di origine, di residui di una tradizione da preservare, le cose recuperano quel carattere di sostituto e di rimpiazzo simbolico che secondo Freud era tipico del feticcio. Si assiste così ad una rivisitazione del fenomeno feticistico, non più esperienza solipsistica di un singolo individuo intrappolato nel proprio desiderio ma esigenza condivisa da un’identità collettiva che tenta di mantenersi attraverso una cristallizzazione delle proprie memorie storiche. I protagonisti della letteratura postcoloniale intrecciano le loro esperienze con le sorti degli oggetti che li accompagnano; di conseguenza, una disamina attenta delle opere non può prescindere da una prospettiva materiale che tenga conto anche del corredo tematico e formale affidato alle cose. Questo contributo intende indagare la funzione narrativa assunta dagli oggetti in Midnight’s Children (1981) di Salman Rushdie. In particolare, saranno esaminate da vicino le attività testuali di un lenzuolo bucato e di una sputacchiera d’argento: il primo in quanto veicolo di un’eredità privata e la seconda di un’eredità collettiva, entrambe da conservare tra le vicissitudini storiche di un’India in equilibrio tra la precedente identità europea e gli stimoli di una nuova realtà postcoloniale.

Biografia autore

Aldo Baratta, Università di Roma La Sapienza

Dottorando di ricerca di Italianistica 

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Pubblicato

2022-03-31

Come citare

Baratta, A. (2022). Un lenzuolo bucato e una sputacchiera d’argento: Eredità privata e memoria storica in Midnight’s Children. Novecento Transnazionale. Letterature, Arti E Culture, 6, 60–73. https://doi.org/10.13133/2532-1994/17624