Elementi joyciani in Cesare Pavese. Ritematizzazione dell'esilio attraverso la traduzione
DOI:
https://doi.org/10.13133/2532-1994/17344Abstract
Il biennio 1934-1935 ha un’importanza strutturale nell’evoluzione umana e artistica di Cesare Pavese: in questi anni egli affronta il tema dell’esilio prima attraverso la traduzione di A Portrait of the Artist as a Young Man (1916) di James Joyce, e poi col confino a Brancaleone Calabro. In questo articolo, attraverso una comparazione tematologica tra il romanzo joyciano e Il carcere e La luna e i falò (1950) di Pavese, si vuole dimostrare come la ritematizzazione dell’esilio sia stato un elemento strutturante del passaggio pavesiano alla prosa, irradiandosi fino alla sua concezione del mito quale sguardo rivelatorio sulla realtà.
Il primo romanzo pavesiano, Il carcere (pubblicato solo nel 1948), nel narrare l’esperienza del confino traduce la forma del Portrait, attraverso l’utilizzo di un’inusuale narrazione in terza persona di una storia avente il proprio alter ego per protagonista. Come dimostrato dalla comparazione tra La luna e i falò e il Portrait, questo stesso sguardo “esiliato” è costitutivo della visione del mito pavesiana e dell’epifania joyciana. Il punto d’incontro è l’impossibilità del ritorno su se stessi: un’impossibilità da una parte cercata quale simbolo dell’alterità artistica (Joyce), dall’altra segno di una grande sconfitta esistenziale (Pavese).
PAROLE CHIAVE: Cesare Pavese, James Joyce, Il carcere, La luna e i falò, A Portrait of the Artist as a Young Man, esilio, tematologia, translation studies.
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