La censura di bronzo. I monumenti confederati e la contro narrativa degli artisti afro americani tra iconoclastia e nuova figurazione
DOI:
https://doi.org/10.13133/2532-1994/18509Parole chiave:
Monumento; Iconoclastia; Arte contemporanea; Black Studies; AttivismoAbstract
La storia della guerra civile americana, rappresenta per gli Stati Uniti un elemento altamente simbolico e identitario e allo stesso tempo altamente escludente attraverso il quale è stata negata alla comunità nera ogni possibilità di contro discorso narrativo e visuale. Nel corso degli ultimi dieci anni, in corrispondenza a tragici eventi come il massacro di Charleston e l’uccisione di George Floyd è stato avviato un processo di rilettura storica che ha permesso, in maniera sempre più chiara ed evidente, di portare alla luce la falsa mitologia, il cosiddetto mito della causa persa, che ha sostenuto la costruzione di una pseudo narrazione storica tesa a giustificare e legittimare il razzismo endemico in particolare negli Stati del Sud. In questo processo il simbolo confederato, inteso, dai monumenti alle lapidi, dalla celebrazioni di determinate festività all’intitolazione di strade e scuole, ha assunto un ruolo essenziale nella costruzione di un determinato immaginario collettivo. In particolare le statue confederate non hanno mai rappresentato un ricordo storico bensì hanno indirizzato un pensiero politico suprematista che ha mostrato le sue recrudescenze mai sopite in maniera sempre più forte proprio in questi ultimi anni. Partendo dunque da una volontà di affermazione della presenza nera all’interno dello spazio politico, sociale e pubblico statunitense si sono sviluppati due approcci e letture apparentemente contrastanti. Da una parte si è affermato una volontà di recupero e risematizzazione simbolica attraverso l’intervento di artisti come Kehinde Wiley e Hank Willis Thomas che hanno reimmaginato il simbolo confederato attraverso il suo capovolgimento. Dall’altra, in particolare attraverso il pensiero afro pessimista, si è articolata la necessità di negare simboli e icone, anche della stessa cultura nera, come unico mezzo per evitare una cooptazione visiva e sociale e il conseguente rischio di una nuova perdita identitaria. Il testo pertanto, volendo complessificare il concetto di distruzione/creazione attorno alla recente spinta iconoclasta che ha visto la rimozione di diversi monumenti confederati a seguito dell’uccisione di George Floyd, si propone di analizzare il bilanciamento creativo insisto tra iconoclastia e contro narrazione figurativa cercando di uscire da un serie di categorie dicotomiche difficilmente applicabile al magmatico contesto statunitense.
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