Sulle tracce dell’industrializzazione nel paesaggio tardo-industriale gelese: una tardiva scoperta antropologica
DOI:
https://doi.org/10.13133/2532-6562_4.7.16858Keywords:
Sicilia, industrializzazione, antropologia italianaAbstract
Nei primi anni Sessanta le politiche nazionali e regionali di sviluppo della Sicilia puntano sulla industrializzazione per risolvere le sue criticità economiche e sociali. Questa scelta si concretizzerà nella costruzione di grandi insediamenti industriali petrolchimici, che trasformano profondamente la vita (economica, sociale e ambientale) dei territori e dei lavoratori impegnati nelle nuove attività. Tra gli anni Sessanta e Settanta gli studi antropologici italiani manifestano una chiara disattenzione verso queste trasformazioni, per ragioni ideologiche ed accademiche legate al dibattito interno tra gli studiosi, che vedrà il prevalere di coloro che si orienteranno a indagare esclusivamente la “cultura popolare” diventata l’archetipo del mondo subalterno in contrapposizione all’avanzare egemonico della modernità, lasciando l’analisi della componente moderna della subalternità, la classe operaia otto-novecentesca, soprattutto agli studi storici e sociologici.
Nel ripensare questa influente e duratura prospettiva teorica degli studi antropologici italiani (e mediterraneisti), il contributo focalizza l’attenzione etnografica sull’industrializzazione e deindustrializzazione della città siciliana di Gela, profondamente segnata dallo “sviluppo senza autonomia”. Un contesto urbano economico-sociale e ambientale fortemente degradato, da cui in questi ultimi anni sono emersi tre diversi orientamenti futuri: l’orientamento industrialista rivestito dall’aura magica della sostenibilità sostenuto soprattutto dall’Eni; quello ecologico-politico del nuovo ambientalismo della Lipu e quello patrimoniale sostenuto da una recentissima iniziativa associativa vicino all’Eni.
In the early Sixties, national and regional development policies in Sicily focused on industrialization to solve its economic and social problems. This choice will be realized in the construction of large petrochemical industrial settlements, which will profoundly transform the life (economic, social and environmental) of the territories and the workers involved in the new activities. Between the Sixties and Seventies, Italian anthropological studies showed an evident inattention to these transformations, for ideological and academic reasons linked to the internal debate among scholars, which saw the prevalence of those who oriented themselves to investigate the "folk culture" exclusively. "Folklore" had become the archetype of the subordinate world as opposed to the hegemonic advance of modernity, leaving the analysis of a new component of the subordinate, the working class of the 19th and 20th century, to historical and sociological studies.
Rethinking this influential and lasting theoretical perspective of Italian (and the Mediterranean) anthropological studies, the paper focuses ethnographic attention on the industrialization and deindustrialization of the Sicilian city of Gela, deeply marked by "development without autonomy". A strongly degraded economic-social and urban environmental context, from which in recent years three different future orientations have emerged: the industrialist orientation covered by the magical aura of sustainability supported above all by Eni; the ecological-political one of the new environmentalism of Lipu and the patrimonial one supported by a very recent associative initiative near Eni.
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